Quasi 30 anni di carcere complessivi e 18000 euro (tra danni morali e spese processuali). Queste le sentenze di primo grado per i 22 imputati del processo per l’occupazione dell’ex-mutua di via orfanotrofio. Nominalmente le pene vanno da un minimo di 1 anno e 2 mesi a un massimo di 2 anni. Nessuna distinzione tra militanti e famiglie residenti. Entrambi sono stati giudicati secondo la medesima logica repressiva. Entrambi sono stati considerati complici di un medesimo e intollerabile crimine: quello di non essere rimasti isolati e silenziosi nella propria miseria, quello di aver alzato la testa insieme per riappropriarsi di uno spazio abbandonato, dove dare una risposta immediata e concreta ai propri bisogni.
Queste condanne, di molto superiori a quelle chieste dal pm, rivelano chiaramente la volontà di punire in modo esemplare questa esperienza cittadina di resistenza.
Quello che vogliono dirci è molto semplice: “sei senza un lavoro? Sei senza casa? E’ un tuo problema. Sono affari tuoi. Mettiti in coda e se ne avanza ci sarà qualche briciola anche per te. Tra un anno, due, tre, dieci. Chi lo sa. Nel frattempo muori per strada. Oppure abbandona i tuoi figli, tua moglie e prenotati un posto al dormitorio. Se anche quello è pieno puoi sempre trovarti una panchina ai giardini”.
Certo, come dicono in molti, la città è piena di edifici vuoti ma, ci ricordano lorsignori, “la proprietà privata è sacra e guai a chi la tocca, anche se si tratta di edifici pubblici abbandonati all’incuria più totale ormai da anni. Quelle case non possono ospitare persone. Devono marcire per poter essere oggetto di buone speculazioni”.
Per chi ci reprime la miseria è una colpa e chi cerca di opporsi, di cambiare la situazione è un criminale. Un criminale con un’aggravante in più: quella di aver voluto dare spazio, in un solo luogo, a due diverse ma complementari esigenze. La necessità di avere un tetto sulla testa ma anche uno spazio dove poter ospitare dibattiti, musica, teatro e cinema fuori da dinamiche di profitto e di consumo. In questi sette anni infatti l’ex-mutua non è stata solo la casa di molte famiglie in emergenza abitativa, ma anche il teatro di numerose iniziative culturali e popolari che hanno coinvolto un gran numero di persone alla ricerca di spazi di libera creatività.
Quello che si è voluto colpire in aula il 29 novembre 2017 non è una semplice infrazione del codice penale ma una pratica di riappropriazione di cui si è temuto l’espandersi e che si sta ora cercando di far tacere per sempre.
Non saranno queste sentenze a fermarci. Non abbiamo paura. Ai loro metodi intimidatori opporremo come sempre la solidarietà, il mutuo soccorso, l’azione diretta.
CDL FELIX