Saluto ad un ribelle senza congedo

Il 28 gennaio è morto Giovanni Gerbi, partigiano di Asti.

Classe 1929, nome di battaglia “Reuccio”, Giovanni si unisce alla 79° brigata Garibaldi nel settembre del 1944. Lo fa di slancio, scappando dal collegio e come tanti senza un preciso orientamento politico. Nel dicembre dello stesso anno è coinvolto in alcuni combattimenti nel canellese e viene catturato. Tradotto alle Nuove di Torino è liberato dopo qualche mese. Uscito dal carcere si unisce di nuovo ai partigiani ed entra nel marzo del 1945 nella 99° brigata Garibaldi, con la quale parteciperà alla liberazione di Asti e di Torino.

Nell’estate del 1946, a 17 anni, prende parte all’insurrezione di Santa Libera. Tra il 20 e il 27 agosto un gruppo di partigiani di Asti, amareggiati per l’amnistia Togliatti e per le condizioni di miseria e di povertà che affliggevano l’Italia alla caduta del regime, riprende in mano le armi e si ritira sulle colline, in una frazione di Santo Stefano Belbo (CN). Gli insorti chiedono: la liberazione di tutti i partigiani rinchiusi in carcere; il pagamento immediato dei debiti contratti dalle formazioni partigiane durante la guerra e tutta una serie di misure volte a contrastare le condizioni di estrema povertà in cui versavano numerosi combattenti che, alla fine del conflitto, si erano ritrovati disoccupati e con poco o nulla in mano.

Questa ribellione è la scintilla che fa esplodere il malcontento partigiano e in buona parte dell’Italia settentrionale si hanno agitazioni e proteste simili.

A seguito di una settimana di trattative con il governo alcune delle richieste vengono accolte: impunità, estensione delle pensioni di guerra ai partigiani e riconoscimento dei gradi militari per i combattenti ai fini amministrativi. Gli insorti rientrano ad Asti accolti da una folla festante.

Subito dopo la smobilitazione il gruppo promotore della ribellione costituisce un gruppo clandestino: la volante “808”, dal nome di un potente esplosivo, la quale raccoglie armi e dà la caccia ai fascisti ancora a piede libero. Giovanni ne fa parte.

Nel luglio del 1948 Palmiro Togliatti è vittima di un attentato. Il gruppo degli insorti di due anni prima è intenzionato a riprendere le armi e a tornare a Santa Libera. La polizia interviene e Giovanni, insieme agli altri partigiani, è costretto a darsi alla macchia. Dopo un periodo di latitanza e insieme ad altre 5 persone è condannato a 8 mesi di reclusione.

Il 18 aprile del 1950 viene ancora una volta fermato e denunciato per alcune scritte fatte sotto i portici di Piazza San Secondo: “Celere = brigate nere”, DC = fascismo”, “I giovani non faranno mai la guerra”. Pochi giorni dopo è coinvolto in alcuni tafferugli scoppiati durante una manifestazione contro il divieto delle celebrazioni per il 25 aprile imposto dell’allora ministro degli interni Scelba. Il processo per questi fatti si conclude nel 1952 e Giovanni viene condannato a 1 anno di reclusione.

Operaio della Waya-Assauto, Reuccio negli anni occuperà posti di rilievo all’interno del PCI e della FIOM, fino al 1984 anno in cui viene espulso dal partito. Vicepresidente dell’ANPI dal 2001, sarà esautorato anche da questo nel 2005. In questo periodo, che si dipana dalla fine degli anni ’80 fino ai primi anni 2000, Giovanni matura un tardivo ma radicale ripensamento della propria esperienza politica, portandosi su posizioni apertamente ostili alla politica del PCI e dello stalinismo. Reuccio continua la sua militanza frequentando attivamente occupazioni, centri sociali e gruppi anarchici. In questo periodo si farà portavoce di un antifascismo che non si sente esaurito negli esiti della Costituzione. Un antifascismo rivoluzionario che “oltre a lottare contro i fascisti [voleva] costruire una NUOVA SOCIETA’ di uomini liberi, senza padroni” (G. Gerbi, 2014).

Nel dare l’ultimo saluto a Giovanni, vogliamo ricordare tutti i ribelli senza congedo che combatterono per un cambio di rotta radicale della società.